mercoledì 22 ottobre 2014

Mangi sano? E allora vesti anche sano!

L'approccio olistico al biologico.
(terza parte)



Ora, qualcuno potrà dire: va bene, un capo biologico dà benessere e il costo a volte un po’ più alto è compensato da questa caratteristica e dalla durata. Ma la mano del tessuto, ossia la  vestibilità? E l’estetica?

Bisogna dire che le tecnologie di lavorazione dei tessuti e dei filati in fibra organica, nell’ultimo decennio hanno fatto passi da gigante.
Oggi abbiamo prodotti bio-tessili di grande mano e vestibilità. Nel solco dell’ecofashion, anche l’abbigliamento biologico ha destato l’attenzione di grandi firme. Che ovviamente, per il semplice fatto di essere brand, non è detto che siano garanzia di genuinità della materia. Gli ecofurbi abbondano.

Tuttavia, l’offerta si è molto differenziata e si trova un po’ di tutto: dalla qualità artigianale in produzione limitata, alla serialità sulla quale è spesso lecito nutrire qualche dubbio.
In buona sostanza, se la scelta è quella di avere un biologico sicuro, occorre sempre partire dal presupposto che questa sicurezza va individuata e non è sempre facile.


La prima cosa che può fare un consumatore attento quando si trova tra le mani un capo biologico è guardare due cose:
A. La certificazione.
B. L’etichetta.

LA CERTIFICAZIONE
Come per il food, anche l’abbigliamento per essere biologico deve seguire disciplinari rigorosi che ne attestino lo status di organic wear.
La certificazione ha proprio questa funzione: garantisce attraverso severi controlli svolti da enti certificatori, che l’intera filiera è biologica, ossia i materiali e le lavorazioni vengono realizzate secondo adeguati e specifici criteri.

Prendiamo il cotone come esempio. La sua filiera nasce dalla tipologia del terreno, dalle lavorazioni preliminari: per essere a norma non devono essere presenti agenti chimici e sostanze nocive da precedenti coltivazioni. Occorrono anni per preparare un terreno.
Il seme non deve essere un organismo geneticamente modificato. Spesso già questo è un problema, poiché il dominio di multinazionali dall’agrochimica come la Monsanto, che impongono agli agricoltori le proprie sementi transgeniche, non agevola una libera coltivazione da parti delle aziende agricole.



La coltivazione poi, deve essere priva di pesticidi e altre sostanze chimiche che inciderebbero sul raccolto esattamente come per frutta  e verdura.
Nella certificazione viene anche considerato il rispetto delle norme di sicurezza, che vi siano condizioni di vita e di lavoro adeguate per le maestranze, che non ci sia sfruttamento e lavoro minorile. Biologico significa anche etica del lavoro, benessere di chi lavora, rispetto dei diritti umani e sindacali.

Il resto della filiera, filatura, tessitura, tintura, sbiancatura, confezione, segue i medesimi criteri. La certificazione biologica non contempla l’apporto di sostanze chimiche nocive, la produzione in subappalto attraverso imprenditori senza scrupoli in capannoni non a norma, con attrezzature rischiose, inadeguate e in condizioni di lavoro inaccettabili.
Chi acquista un capo autenticamente biologico, ossia certificato, ha la certezza di aver fatto un gesto etico importante a favore di un modo di produrre a basso impatto ambientale e nel rispetto della persona. Oltre a godere dei vantaggi e dei benefici che un capo biologico presenta per la propria salute.

Vi mostriamo qui di seguito alcuni simboli di autorevoli enti certificatori che potete trovare nei capi biologici che acquistate.





 























(per vedere meglio il completo Positano riportato in fotografia qui sopra e altri capi biologici, vai qui)

(fine terza parte)

Nessun commento:

Posta un commento