giovedì 20 novembre 2014

Mangi sano? E allora vesti anche sano!

L'approccio olistico al biologico.

(quarta parte)

L’ETICHETTA
Con l’etichetta, concludo questo escursus nell’abbigliamento biologico.
Innanzi tutto inizio col chiarire un aspetto fondamentale: un tessuto naturale al 100%, mettiamo ilcotone: 100% CO, non è uguale a 100% cotone biologico.
Il cotone, il lino e via dicendo 100% naturale, ossia senza filati sintetici nella tessitura, come la LYCRA, non è biologico se non è stato ottenuto da una filiera biologica che ne certifica lo status bio.


Abbiamo visto in precedenza come il processo produttivo di un capo biologico, in particolare la nobilitazione e la tintura, non deve avere un apporto di chimica nociva. Per questo, se un tessuto a navetta o jersey, 100% cotone naturale segue una filiera standard, il consumatore si potrà ritrovare con un capo che contiene, formaldeide, nichel e quant’altro. Si avranno lo stesso problematiche di allergia, patologie dell’epidermide, ecc.

Quindi 100% naturale non vuol dire 100% biologico!

Al contrario, può sembrare un paradosso, la certificazione biologica di numerosi enti ammette nella composizione una piccola percentuale di filato sintetico come l’elastan (lycra), soprattutto per tessuti elasticizzati.
Quindi, quando cercato un abbigliamento biologico la cosa principale è che sia certificato da un ente autorevole e conosciuto. Di cnseguenza, solo in questo caso l’etichetta, nella composizione potrà avere la seguente dicitura (a titolo d’esempio):

100% cotone biologico

Oppure:
95% cotone biologico
5% elastan

e il codice della certificazione biologica (es.: Certificato GOTS 2014-022)

Queste, in sintesi, sono alcune indicazioni per districarsi nella giungla dei vari mercatini alternativi o nelle varie fiere di settore.
Tenete presente che ci sono tanti piccoli artigiani che non seguono fedelmente questi disciplinari, ma magari offrono comunque prodotti di qualità. Ci sono al contrario aziende, spesso di dimensioni più grandi, con tanto di “pedigree” in regola, ma che seguono invece la corrente del far le cose all’estero e poi appiccicare un Made in Italy con le ultime lavorazioni, magari del tutto secondarie.
C’è poi la grande galassia degli “ecofurbi”, del prodotto taroccato, ma non è di facile individuazione e questo va a detrimento di un settore, il biologico, che dopo un iniziale boom ha subito gli effetti della crisi, a causa di consumatori costretti a tornare a scegliere principalmente sul prezzo e non sulla qualità, che inevitabilmente costa sempre di più.
Infine, tra ecofurbi ed economie di scala che parlano cinese, sono nati prodotti bio low price, dall’alimentazione all’abbigliamento, dei quali si deve in genere diffidare, perché ottenuti non sempre con modalità cristalline.

Un vero prodotto biologico, che sia una mela o un calzino, del tofu o una blusa, artigianale ma anche realizzato su grandi numeri, non può costare come un normale prodotto equivalente sul piano della tipologia merceologica.
Questo è il vero metro di misura che invito tutte e tutti ad avere.

Dopodiché buon shopping!

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